Massimo RODOLFI

Chi sono

I miei primi ricordi di carattere astronomico risalgono al 1961, quando ad appena sei anni assistetti a un’eclissi di sole. Sempre in quegli anni mi capitò di vedere anche una delle rare aurore boreali visibili dall’Italia, anche se non mi resi subito conto di quello che stavo osservando. I miei genitori quella sera mi mandarono in cantina a prendere una bottiglia di vino per la cena, cosa che io facevo volentieri perché, invece di scendere direttamente dalle scale, uscivo dal portone del palazzo dove abitavamo e giravo intorno a casa rientrando dal cortile, così avevo modo di guardare il cielo stellato, cosa che mi affascinava tantissimo e mi assorbiva come in un sogno.

La mia era l’ultima casa del paesino dove abitavo e all’epoca non si poteva nemmeno parlare di inquinamento luminoso, per cui le stelle in cielo risaltavano come un manto di diamanti. Quella sera però rimasi letteralmente a bocca aperta perché il cielo era incendiato di luce viola, cosa che ovviamente non avevo mai visto, e che altrettanto ovviamente avrei dovuto aspettare un bel pezzo per rivederla. In effetti solo in anni recenti ho organizzato diverse spedizioni attorno al circolo polare per riprendere l’aurora boreale, cosa che mi lascia sempre a bocca aperta come quella sera che andai a prendere il vino in cantina.

Di lì a poco la passione per il cielo notturno dilagò veramente e mi costruii il mio primo telescopio, segando gli occhiali della nonna (con grande sua gioia), utilizzandone una lente accoppiata ad un oculare del microscopio che usavo nei miei esperimenti con il piccolo chimico. Una specie di telescopio galileiano post litteram che montai su un enorme treppiede di legno, sempre autocostruito, che di sicuro reggeva il peso di quell’improbabile telescopio che avevo messo insieme. A me però sembrava di avere Hubble per le mani e ci passavo le ore nel cortile dietro casa, perdendomi tra le meraviglie del cielo stellato.

Allora passai poi all’astrofotografia, si fa per dire, perché costruii una sottospecie di montatura equatoriale di compensato, mossa a mano (sigh!) sulla quale montavo la Comet Bencini II dei miei genitori, scattando su pellicole a 100 asa. Evidentemente i risultati non erano un granché, ma diciamo che non erano proprio, però volete mettere stare in mezzo a un campo di grano appena tagliato, sotto un cielo di stelle, a cercare di riprendere qualcosa per sognare l’infinito?
Diciamo che progressivamente poi, e con fasi alterne, passai a strumentazioni più serie, dal primo vero e proprio rifrattore da 60 millimetri, al classico 114, fino a quando, in età adulta potei permettermi uno Schmidt Cassegrain da dodici pollici con tanto di montatura equatoriale. Ovviamente si scattava sempre su pellicola, e non è che avessi dei gran risultati, ma ragazzi, era veramente un altro mondo.
Poi ve la faccio breve, dopo aver costruito piccoli osservatori astronomici in varie case dove ho abitato, sono arrivato al compimento del delirio astronomico attuale, dove sto dando vita a un progetto di una specie di parco astronomico sull’appenino modenese, a mille metri di quota, che vedrà in azione un quantitativo improbabile di telescopi, montature e camere di ripresa, veramente da maniaco, ma questa è un’altra storia che racconterò a breve… to be continued…